Sonia Caporossi writes about John Taylor’s Oblò / Portholes (Pietre Vive editore) for Bologna in lettere, after the book had been chosen for the long list of the prize « Premio Bologna in lettere ». The book is translated by Marco Morello, illustrated by Caroline François-Rubino, with a postface by Franca Mancinelli. Here is the article in Italian:
In Oblò/Portholes di John Taylor, l’evocatività del segno si condensa nella struttura gerarchico-associativa propria del linguaggio poetico, facendo emergere il valore effettuale dell’immaginazione descrittiva che si concentra sul paesaggio marino trasfigurandolo nell’inganno cordiale dell’effetto ottico e nel sogno. Questa trasfigurazione viene ottenuta attraverso l’espediente dello stile nominale, con cui l’autore pone in elencatio una serie di sintagmi in un cui l’ermetismo della parola fa baluginare sensi riposti diradando la necessità del verbo d’appoggio fino al punto di renderlo puramente accessorio e, quindi, evanescente. Altre volte, la sequenza verbale è invece quella che prevale, al modo infinito, nella dimensione appesa del tempo. Le frequenti andate a capo, l’utilizzo della microversificazione e della sospensione afasica del senso in direzione della parola-cosmo che sorregge significati nascosti e allusivi, fanno pensare a un originalissimo recupero delle modalità ermetiche, trasfigurate nella dimensione oniricamente pregna di un vero e proprio effetto Morgana letterario.
Come nel processo cognitivo sotteso alla generazione di una mappa mentale, nella poesia di John Taylor il pensiero viene sollecitato a percepire il miraggio dell’immaginazione, in tutte le sue informi declinazioni, e a dargli ordine e dotazione di significati nel monoverso sensoriale, avvolgendo il lettore in una confortevole membrana di analogismo simbolista.
Nella traduzione di Marco Morello, la lingua inglese, strutturalmente asciutta, essenziale, esangue e per questo tra le più adatte a rappresentare l’evocatività in senso puro, viene trasposta in una modulazione rarefatta, ovattata, riuscendo a rendere compiutamente il senso di allucinazione e abbandono che permea l’intera opera.
L’oblò, nella sua forma circolare, filosoficamente e matematicamente compiuta, rappresenta un affaccio percettivo, perfectum come un orbe, sull’epifania del mondo. È l’esatto contrario dell’occhio tagliato di Dalì e Buñuel, perché è un pertugio comodo, non una ferita sanguinante; non vi è trauma o elevazione nel dolore, bensì annegamento nelle sensazioni, ipnosi catartica, un cullarsi primigenio nel dondolio dell’onda, un immergersi atavico e archetipico nell’elemento acquatico del mare come svelamento del mistero, come comprensione estetica dello stato sonnolento delle cose.
L’effetto Morgana che ne deriva, letterariamente, è percepito-attraverso il vetro dell’oblò. Come una barriera che separa la realtà dalla fantasia romantica dell’ignoto, questo vetro non basta a limitarci e incatenarci nel qui-ed-ora: siamo chiamati perpetuamente, nel corso della lettura, a immergerci nell’abisso del linguaggio, nell’eterno barbaglio ondivago della luce che riflette, sullo specchio dell’acqua, squarci di percezioni come sememi di Greimas (Sonia Caporossi).
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